L’uomo è fatto così: l’uomo impara dall’esperienza
L'uomo è fatto così: l'uomo impara dall'esperienza
Ciao Simonetta, raccontaci chi sei, cosa fai qui al Pellicano e la storia della scuola e della Cooperativa
“Sono Simonetta Cesari e sono la coordinatrice della Scuola Primaria il Pellicano, che è una delle tre scuole della Cooperativa. Le altre due sono Scuole dell’Infanzia e hanno altre due coordinatrici. Io lavoro qui dal 1998. Prima ho lavorato nella scuola statale come insegnante elementare poi, a seguito di una proposta di lavoro, ho accettato di venire qui al Pellicano, dove ho insegnato per 3 anni, prima di diventare coordinatrice”.
Hai detto che agli inizi della tua carriera al Pellicano, prima di diventare coordinatrice, sei stata anche tra i banchi di scuola. Hai qualche aneddoto da raccontarci?
“Faccio una premessa: rispetto alla mia esperienza precedente, al Pellicano ho fatto la maestra prevalente, che è tutt’ora la scelta di insegnamento adottata dal Pellicano per la scuola Primaria. Questa scelta educativa cambia di parecchio la visione delle cose, perché ti trovi in mano la gestione di quasi tutte le discipline. L’ho trovato molto bello, perché a quest’età i bambini non hanno la testa divisa in materie e ti fanno domande di vario tipo su ogni materia. Se hai un minimo di curiosità intellettuale e culturale, è parecchio stimolante stare con i bambini con un orizzonte così ampio”.
Lo hai già accennato, ma spieghiamolo più nel dettaglio: cosa si intende con maestra prevalente?
“Un maestro prevalente insegna quasi tutte le materie. Sottolineo il quasi, perché inglese, musica ed educazione fisica sono insegnate da insegnanti specializzati, con un titolo ad hoc. Queste tre materie sono a tutti gli effetti tre linguaggi e vanno conosciuti molto bene per essere insegnati. Tutto il resto è affidato all’insegnante prevalente. Questo è il primo grosso cambiamento che ho dovuto affrontare una volta arrivata al Pellicano. È stato molto soddisfacente, ma anche abbastanza impegnativo. Insegnare più materie, per forza di cose, ti impone una mole di tempo e studio maggiore. Tornando agli aneddoti, ti racconto questo: appena arrivata, mi affidarono una terza a prevalenza maschile, con 15 studenti e appena 3 studentesse, che è raro per una scuola elementare. Era una classe molto mossa: ricordo che le tre bambine riuscivano a litigare e fare la pace anche più volte al giorno, proprio perché erano solo in tre. L’episodio che più mi ha colpito fu durante un torneo di calcio tra quarte e quinte durante l’intervallo. Ricordo che la mia classe perse per autogol di una delle ragazze, che si prese un sacco di offese da parte di tutti. Ammetto che anche io avrei fatto molta fatica a trovare le parole per ridare un orizzonte a quello che era capitato, anche perché io di calcio non sono esperta. In quel momento mi venne in aiuto un ragazzo che, allora, faceva il Servizio Civile, anzi un Obiettore di Coscienza, perché al tempo si chiamava ancora così. Lui venne in classe appena risaliti dopo la sconfitta e, tra i mugugni e le facce rosse e lacrimanti dei bambini, disse: “Bambini, scusate, quando Baggio ha sbagliato il rigore i suoi compagni lo hanno infamato?” No! “Ecco, e perché secondo voi non lo hanno infamato?” I bambini risposero: “Per rispetto, per educazione”. Lui concluse dicendo: “No, non basta. La ragione vera è che tutti sapevano benissimo che la colpa non era di Baggio, perché qualsiasi altro giocatore tra di loro avrebbe potuto benissimo fare un gol prima e non ci sarebbe stato bisogno di andare ai rigori. Quindi Baggio è stato l’ultimo a sbagliare, ma dopo una serie di azioni che non sono state compiute prima da tutti gli altri. Quindi la responsabilità non era solo la sua”. Dicendo così, a quel punto, ha salvato sia me che quella povera figliola”.
Hai accennato, in questo bellissimo racconto, che il discorso sul rigore di Baggio è stata un’idea di un ragazzo che, al tempo, era un Obiettore di Coscienza, diventato poi oggi Servizio Civile. Qui al Pellicano sono tanti i ragazzi che fanno servizio civile, corretto?
“Si sono tanti e devo dire che parecchi sono anche rimasti qua. Quando abbiamo bisogno di assumere un educatore, il fatto di aver avuto per un anno una persona al fianco dei bambini, ci fa capire se è tagliata o meno per quel tipo di mansione e quindi se può rispondere, o meno, al bisogno che la scuola ha in quel momento. Io credo che almeno cinque o sei persone che sono oggi all’interno del nostro organico vengano dall’esperienza del Servizio Civile, che io valuto come molto formativa”.
Dunque, il Servizio Civile oltre che essere un’esperienza bella e gratificante, che ti migliora come persona e ti aiuta ad aprire la mente, è anche una vera e propria opportunità sia per capire se si è tagliati per questo lavoro, sia per poter essere visto dalla scuola stessa, confermi?
“Sì, innanzitutto per capire se si è tagliati, perché il mestiere educativo non è per tutti e non lo impari sui libri. C’è ovviamente un aspetto che va studiato, ma c’è un lato, altrettanto importante, che viene fuori soltanto nel momento in cui ti relazioni con i bambini. Questo aspetto difficilmente si insegna. Lo si può magari assorbire per osmosi, vedendo altri che si comportano in un determinato modo. Parecchi ragazzi che hanno svolto il Servizio Civile da noi, di cui magari in quel momento non avevamo bisogno, hanno comunque avuto un orientamento verso il loro futuro: c’è chi ha scelto di fare scienze motorie e chi altre facoltà oppure ha deciso di mettersi a lavorare facendo leva sull’esperienza pregressa fatta proprio qui al Pellicano”.
Il Servizio Civile, dunque, ti dà la possibilità di entrare in un ruolo che possiamo definire “ibrido” tra scuola e lavoro, giusto?
“Esatto, poi la scuola in particolare è un contesto ricco, dinamico e imprevedibile. Quindi rispecchia proprio la realtà di un qualsiasi contesto lavorativo. Costringe la persona a maturare, questo è indubbio. È chiaro che poi ognuno ci mette del suo, anche a seconda di una propensione personale o meno. Qui, ad esempio, una persona può scoprire di non essere adatta a stare con i bambini ma, magari, di avere doti di ordine e di essere un bravo segretario. Oppure, magari, di non aver paura di mettersi in gioco o di prendere decisioni dovendo scegliere tra mille fattori. Queste sono tutte skills utili che si apprendono sul campo e non tra le mura di un’Università”.
Prima di questa, sempre apprezzata, parentesi sul Servizio Civile, stavamo parlando del passaggio, dopo tre anni, dal ruolo di insegnante al ruolo di coordinatrice. Raccontami un po’ di più!
“Mi fu chiesto questo cambiamento perché l’allora coordinatrice fu costretta a smettere per motivi di salute ed in quel momento io ero l’unica che avesse un titolo adatto, la laurea in Pedagogia, e allo stesso tempo un po’ di esperienza, ovvero diciassette, quasi diciotto anni di lavoro. Accettai subito. Fare la coordinatrice in una scuola come questa che, nonostante i tanti bambini e e le ben quindici classi ha un solo edificio, mi ha dato l’opportunità di entrare molto nella didattica e non solo nell’aspetto educativo. Ciò mi ha permesso non solo di coordinare l’aspetto educativo e gestionale, ma anche di “restare un po’ maestra” ,cioè di mettere al servizio dell’essere coordinatrice la mia esperienza pregressa tra i banchi di scuola. Ciò ha fatto sì che fossi più vicina alla formazione dei bambini ma, in primis, anche agli insegnanti, perché comunque un maestro finché non va in pensione si forma. Non è possibile pensare di fare questo mestiere appoggiandosi su un “già saputo”. Il “già saputo” ti serve per modificare il tuo comportamento la volta successiva. Nell’arco di una carriera da insegnante, che magari dura anche quarant’anni, cambiano i bambini, il mondo, i bisogni delle famiglie, il linguaggio e la capacità di attenzione. Cambiano dunque tanti fattori che, di riflesso, cambiano il modo di insegnare. È chiaro che con l’esperienza stai davanti al nuovo con un po’ più di spalle”.
Hai detto che in questi 20 anni di coordinatrice al Pellicano, la cosa che più ti piace è il poter essere “dentro” alla formazione di insegnanti e bambini. Ma oltre a questo aspetto, di cos’altro ti occupi?
“Della relazione con le famiglie, quella è l’altra fetta abbondante di tempo. Innanzitutto con le famiglie che vengono a conoscere la scuola per capire come funzioniamo. Noi abbiamo sempre aperto le porte in orario scolastico, perché non bastano gli open day per capire una scuola. L’open day è una vetrina. Per capire una scuola devi vedere quello che succede davvero. Poi, in una scuola devi respirare l’aria che c’è: devi vedere come le persone si trattano, come i bambini salutano gli adulti. Ci sono tanti elementi che ti fanno capire come funziona e che non possono essere raccontati, come ad esempio tutte le attività. L’altra componente della relazione con le famiglie è quella del rapporto coi genitori già presenti al Pellicano: cinque anni sono lunghi e durante il cammino possono saltare fuori sia alcuni dubbi o difficoltà, sia cose belle, o anche idee e proposte che magari il genitore ha. Ad esempio, prima ho risposto ad una mail di una mamma che si occupa di cinema e che già da tre anni, in estate, ci aiuta ad organizzare la proiezione di un film alla sera all’aperto, dedicato alle famiglie. Questa iniziativa, piaciuta moltissimo, noi la possiamo fare solo grazie a questa mamma. Senza di lei non avremmo nemmeno avuto questa idea! Le cose vengono sempre fuori in un dialogo, mai dalla “genialata” del singolo, perché la “genialata” del singolo rimane lì se nessuno ci va dietro, la assume come sua e la costruisce insieme. Per costruire serve che gli attori, adulti in questo caso, della scuola, condivano le idee, condividano i problemi e, soprattutto, condividano anche le cose belle che vedono perché sono altrettanto importanti. Spesso si fanno fatica a vedere le cose belle, perché a volte i problemi ti sovrastano. Oppure, magari, cose che per noi sono scontate non lo sono per altri e il fatto che qualcuno ce le faccia notare, sia in positivo, sia in negativo, serve. Quindi, gran parte del mio tempo è speso nel rapporto con le famiglie.
Prima di diventare coordinatrice sei stata insegnante per tre anni. Prima mi hai accennato che sei sempre andata in gita: hai qualche aneddoto in particolare da raccontarmi?
“Noi andiamo spesso in gita, proprio come scelta della scuola. Io vado quasi sempre con le terze in Val Camonica, in ottobre, per cominciare il programma di storia. La Val Camonica è il sito archeologico più vicino a noi dove ci sono tracce autentiche del Neolitico, del Paleolitico e dell’Età dei Metalli, visibili e comprensibili da un bambino. Questa è probabilmente la gita che mi piace di più ed è, per molti di loro, la prima volta che dormono fuori. Di solito crollano tutti, qualcuno ci mette un po’ di più ma alla fine il sonno vince sempre. In questi anni ho raccontato molte favole per farli addormentare. Mi è capitato solo una volta, in una delle primissime gite, due bambine che hanno giocato a carte tutta la notte e non hanno dormito. Il giorno dopo erano distrutte e se lo sono dormito praticamente in piedi. Dopo, quando l’ho detto alle loro mamme, ho scoperto che anche loro erano così. Hanno confessato che anche loro, durante l’Università, passavano le nottate a giocare a carte. Qui c’entra anche la genetica! In questi anni abbiamo visto un sacco di cose belle: siamo andati a Roma, a Napoli, ad Aquileia, in Toscana a vedere gli Etruschi in vari siti, in Emilia-Romagna e in Appennino. Anche delle gite semplici, per scoprire la nostra terra: tipo una bella camminata in Appennino, da una valle all’altra. I bambini vedono tante cose, ma non sono capaci di dar loro il nome giusto e, a volte, sanno delle cose senza saperlo. Ad esempio, tutti i bambini bolognesi vedono le colline, ma quando studi la collina in geografia, ti sembra di studiare qualcosa di completamente nuovo. Spesso in gita, i bambini si rendono conto di ciò che dovranno imparare e di ciò che realmente sanno e vedono”.
Anche in questa situazione, ci rendiamo conto di come ci sia differenza tra il lavoro in classe e sul campo, me lo confermi?
“Sì, io userei la parola Esperienza come categoria, sia per gli adulti, come chi fa Servizio Civile, sia per i bambini. L’uomo è fatto così: l’uomo impara dall’esperienza. L’esperienza ti mette davanti dei problemi e sta a te trovare una soluzione. L’esperienza ti desta anche le domande e ti stimola a trovare una spiegazione che ti convince. E, per finire, l’esperienza ti fa proprio vedere come funziona una cosa, come è veramente. L’uomo ha bisogno di esperienza per vivere e per camminare. In una scuola l’esperienza non si può limitare tutta in queste quattro mura”.
Simonetta, prima di lasciarti andare ai tuoi impegni, ti andrebbe di salutare tutti gli Amici del Pellicano?
“Certamente! Fare l’insegnante è il lavoro più bello del mondo perché ti mette in gioco e ti costringe a cambiare continuamente. Insegnare ti fa scoprire continuamente delle novità non appena sui bambini che hai davanti, ma anche del mondo e di te stesso. Una scuola è un bel posto dove vivere e dove lavorare!